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Il monastero dei Celestini di Manfredonia
Il monastero di S. Benedetto delle monache celestine di Manfredonia

La presenza dei fraticelli del Morrone, in Manfredonia, è legata alla vita del patrizio e canonico sipontino, Pietro Galgano ', il « quale in quest'anno dell'era cristiana 1350, avendo ereditato tutti i beni di sua casa per essersi distrutta la linea di sua famiglia, edificò nella nostra moderna città nel palazzo di sua casa situato presso la porta pugliese detta dello Spuntone, il monastero ai PP. Celestini, sotto il titolo di S. Pietro Celestino, e da' medesimi beni ereditati fondò le rendite per la chiesa e la famiglia di tal monastero » (2).
Quali possono essere stati i motivi che hanno indotto il Galgano (1) a fondare il cenobio celestino a Manfredonia?

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Monastero dei Celestini - Pubblicazione

Al di là della sua devozione per Pietro del Morrone (3), è da presumere che fosse mosso da una nuova lettura che egli fa della realtà socio economica della città di Manfredonia e della Capitanata. Manfredonia, infatti, vive in uno specifico contesto di relazioni socio-economiche legate principalmente al vasto fenomeno della transumanza nel Tavoliere pugliese.

L'esame complessivo degli insediamenti celestini, nei primi decenni di vita della Congregazione, consente di individuare i limiti geografici del movimento: il centro di irradiazione è la zona dei Monti Morrone e Maiella; l'espansione avviene in tutta la regione degli Abruzzi e Molise con puntate nel Lazio e nella Capitanata (4).
Quest'ultima regione col nuovo insediamento celestino in Manfredonia, insieme a quelli già esistenti a S. Giovanni in Piano (1249) (5), a Lucera (1304) (6), a Monte S. Angelo (1330) (7), viene praticamente « cinta » dal nuovo movimento religioso fondato da Pietro del Morrone.

Il cenobio di Manfredonia, già documentato tra le Carte di S. Spirito del Morrone nel 1366 (8), sarà sino al 1650 una grancia alle dipendenze del Monastero dei SS. Giovanni e Benedetto di Monte S. Angelo. Dei primi tre secoli di vita della grancia di Manfredonia non si hanno notizie dettagliate, pertanto tutto è da costruire su ipotesi e documenti indiretti.

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Manfredonia. S. Pietro Celestino. Chiesa e Convento. Facciata

E' certo che l'attività di base fosse l'esercizio della carità e dell'ospitalità verso i pastori abruzzesi (9), attività che continuerà fino alla soppressione del monastero stesso. La grancia aveva un oratorio, un dormitorio per il ricovero dei poveri e dei viandanti (10) e, forse, anche uno « scriptorium » (11).

I monaci, inoltre, molto probabilmente, dovevano, all'inizio, esercitare anche la pastorizia (12). Ci si evince da un documento datato 25 aprile 1460, nel quale Giovanni, duca di Calabria, concede al Monastero di S. Spirito di poter condurre al pascolo in Puglia 1200 pecore, libere da ogni diritto spettante alla Reale Curia. In seguito l'allevamento del bestiame verrà dato in locazione a privati. Tra la seconda metà del 1500 e la prima del 1600, la grancia di Manfredonia vivrà all'ombra di due grandi personaggi della vita religiosa della Congregazione dei Celestini: il Venerabile Pietro Santucci (13) e l'Abate Celestino Telera (14), ambedue della città di Manfredonia e abati generali della Congregazione. Le loro personalità contribuiranno non poco ad elevare, seppure indirettamente, le sorti ed il prestigio del cenobio di Manfredonia negli anni successivi.

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Manfredonia. S. Pietro Celestino. Chiesa. Grafico del prospetto

« Nell'anno 1650 a d 24 novembre morì a Manfredonia il guardiano Thomaso Meraldo di Gifuni, e donò li suoi beni, come si dirà nel suo luoco nel presente inventario, e lui si fa nostro oblato, e avendo accresciuta l'entrata al Monasterio fu eretto priorato a d 13 maggio 1651 da nostro capitolo generale, come nel seguente decreto, quale si conserva congruamente in questo archivio...» .

Inizia così l'Inventario (15) dei primi anni di priorato del monastero di Manfredunia.
Il decreto (16) è il seguente: « In sessione generalis captuli habita in Ven. Abbadia S. Spiritus de Morrone, die 13 mensis 1651 decreverunt Patres Capitulares, Ven. Monasterium Sancti Petri de Manfredonia decorandum esse et gubernandum sub titulo Prioris, attenta quantitate redditum, qui sex Monacos abere possunt...» (17).

Dopo pochi anni il monastero di Manfredonia viene elevato ad abbazia.

« Nell'anno 1654 in Foggia passò a miglior vita il Sig. Capitano Pietro Borsa 18 della città di Manfredonia, il quale lasciò al detto monastero la sua eredità con alcune condizioni, e in particolare che si eregesse in abbadia... Morì il testatore suddetto nel 1654. E dopo una lunga lite tra la Compagnia di Gesù e i Monaci Celestini, questi sono rimasti in pacifico possesso di tutta l'eredità, qual con entrate del medesimo monastero forma somma di 1500 scudi annui. E poiché il testatore suddetto pose condizione nel testamento che il priore di detto monastero don Giuseppe Borsa (18) suo fratello carnale debba essere costituito ed eletto per abate del medesimo luogo.

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Manfredonia. S. Benedetto. Parlatorio.

Così il Generale della Congregazione Celestina suddetta, umilmente supplica il Ven. capitolo generale nel quale arbitratamente si saria fatto il rescritto a favore di detto monasterio, e priore, voglia perciò S.C.V. far riconoscere li recapiti per la sussistenza e scelta dell'entrata, e col suo assenso secondo la disposizione delle nostre Costituzioni compiacersi che si spedisca dal Generale suddetto la patente col titolo di abbate al detto priore...» (19).

In via breve e del tutto eccezionale il 24 luglio 1657 il priore don Giuseppe Borsa viene eletto primo abate ed il monastero di S. Pietro di Manfredonia elevato ad abbazia (20).
Siamo privi di testimonianze documentali e materiali che possono permetterci di ricostruire, seppure idealmente, quale fosse l'assetto del monastero nel '600. Gli unici elementi in grado di fornirci una dimensione volumetrica dell'edificio sono quelli desumibili dalla « veduta prospettica del Pacichelli (ai primi del '700) (21) » e dall' « Inventario dei mobili » del monastero redatto il 26 agosto 1670 (22).

Nella « veduta » del Pacichelli il monastero appare come un piccolo e tozzo edificio su cui emerge un campanile.
Il campanile è un segno topico che denota la presenza di una chiesa aperta al pubblico. Il Sarnelli (1680) riferisce che la Chiesa di S. Pietro Celestino era una delle sedici chiese di Manfredonia (23).
Dal citato inventario ricaviamo che la Chiesa aveva un altare maggiore con « un paliotto bianco dorato » e due altari laterali, uno dedicato a S. Teresa e l'altro a S. Giovanni, ambedue con paliotti di tela dipinta; vi erano inoltre tre quadri fuori degli altari, uno raffigurante S. Pietro Celestino, un altro la Madonna ed il terzo S. Teresa; c'era anche « un confessionario di legno » (24).

Nel 1676 l'arcivescovo di Manfredonia Vincenzo Maria Orsini, poi Papa Benedetto XIII, predii cher la Quaresima nella chiesa di S. Pietro « perché la Cattedrale era in fabbrica » (25). II monastero annesso alla Chiesa doveva essere i di piccole dimensioni. Il citato inventario traccia un elenco dei locali: sei celle, un cortile, un dormitorio, un salone con « dodici quadri d'imperatori », una cucina con dispensa, una cantina, la sacrestia (26). Nella seconda met del 1700 il monastero cambia radicalmente aspetto. Il vecchio edificio andato quasi in rovina per l'incuria del tempo e per l'età (27), « fu demolito [...] e fu cominciata con un ottimo concepito disegno, la magnificentissima nuova fabbrica di quello e conscguentemente negli anni d'appresso come tuttavia osservasi ai nostri giorni darsi l'ultima mano essendo venuto situata la chiesa in mezzo a due magnifici portoni che introducono a due cortili scoverti che hanno fra di loro comunicativa le quali si introduce a due scale reali che terminano nel piano di un nobile dormitorio che divide tutto il Monastero in due grandi quarti, che vanno intorno per il dormitorio suddetto » (28).

Questo intervento legato alle figure di due singolari abati: don Giuseppe Maria Turco ( « congregationis coelestinorum abbas olim generalis » ) e don Ludovico Giordani di Monte S. Angelo, già priore di S. Maria di Pulsano, e in seguito abate a Manfredonia. Del Giordani « si narra per tradizione dei nostri vecchi, il ritrovamento di un ingente tesoro nelle vicinanze di Pulsano, del quale volle servirsi per la erezione in Manfredonia di un Monastero dei Celestini che fu ricostruito sull'antico convento edificato dal Galgano » (29). L'inizio dei lavori da parte del Giordani non si evince da alcun documento; anzi risulta il contrario. Tra il 1753-54 don Ludovico è un semplice sacerdote nel monastero celestino di Monte S. Angelo (30).

Nel triennio 1757-59 è priore di Pulsano (31). Sarà abate del Monastero di Manfredonia tra il 1760 e il 1764 (32).
La leggenda della ricostruzione del nuovo monastero da parte del Giordani è legata principalmente alle figure di due insigni personaggi della sua famiglia: il Patriarca Domenico Giordani (33), fratello di Ludovico e il loro nipote Gian Tommaso Giordani. Ed è proprio nella ricostruzione della vita di quest'ultimo che i biografi, elencando gli antenati, sottolineano più di una volta la grandezza dell'abate Ludovico e l'attribuzione all'opera di costui della ricostruzione del nuovo Monastero dei Celestini di Manfredonia (34). Ma come osserva il cronista Spinelli, tutto il buon gusto e la devozione per tale opera magnifica fu del Padre Generale dell'Ordine Celestino don Giuseppe Maria Turco, il quale alle rendite di questo Monastero sipontino un quelle della deserta badia di Monte Pulsano (35).
Ad avallare questa tesi è la seguente epigrafe esistente sul frontone interno del portale destro del Monastero: « D. JOSEPH MARIA TURCO / CONGREGATIONIS COELESTINORUM / ABBAS OLIM GENERALIS VIGILANTISSIMUS / NUNC VERO VICARIUS GENERALIS OPTIME MERITUS / INGENIJ. DEXTERITATIS PRUDENTIAE AC CUIUSVIS ERUDITIONIS GLORIA / QUOVIS TEMPORE PRAESTANTISSIMUS / R RELIGIOSA QUOQUOVERSUS AMPLIFICATA / OMNIUNQUE DOCTRINARUM STUDIO RESTITUTO / LITTERIS PROPAGATIS / AUCTA SUAE CONGRECATIONIS TUM EXTERNA / TUM DOMESTICA DIGNITATE / PRO MAXIMO IN EADEM STUDIO / COENOBIUM HOC / TEMPORUM JNIURIA AC VETUSTATE FERE COLLAPSUM / E FUNDAMENTIS ERIGI ATQUE IN HANC FORMAM-REDIGI CURAVIT / ANNO REPARATAE SALUTIS MDCCLIV.»

La ricostruzione del nuovo edificio sarà in effetti un'opera gestita dalla stessa Congregazione, Fig. 182. Manfredonia. S. Pietro Celestino. Chiesa e Convento. Facciata. che alle rendite del monastero di Manfredonia « aggiunge altri annui 500 ducati » (36). Sebbene manchino documenti specifici relativi alle varie fasi della costruzione del nuovo edificio monastico, sulla base di pochi elementi che possono desumersi dalla corrispondenza del monastero, possiamo tracciare, a grandi linee, la seguente cronistoria.
L'opera, presumibilmente, inizia intorno al 1754; prosegue soprattutto sotto l'amministrazione dell'abate Giordani, a cui è probabile che stesse a cuore l'ultimazione dei lavori. Nel 1765, come risulta da una lettera inviata da Roma il 5 maggio, i lavori vengono sospesi; il motivo non è chiaro: « la fabrica del n.vo Monastero di Manfredonia - scritto nella lettera - è sospesa, e se aveva il Giordani l'imprudenza di volerla seguitare, che non credo, passer pericolo di perdere anche la amministrazione del Monastero » (37).

I lavori riprenderanno dopo il '64.

Nel 1780, ad eccezione della chiesa che per alterne vicende, connesse a maestranze specializzate e a momenti di crisi economica, non verr completata, il monastero è portato a termine. In un disegno dell'architetto francese Jean Louis Desprez (38), amico e disegnatore del Saint-Non (Voyage de Naples et de Sicile), l'edificio dei Celestini emerge sulle mura della città, presso la porta dello Spuntone, già con una sagoma ben definita. La facciata prospiciente l'attuale Via Cap. di Palma e quella in prospettiva su Via Maddalena, appaiono complete di copertura a tetto.
Dopo il 1780 i lavori continueranno, almeno per gli esterni, con un ritmo molto lento, sebbene la Congregazione dei Celestini continuasse a devolvere annualmente per tale opera 500 ducati.
Si presume che in questi anni gli sforzi fossero concentrati « per perfezionare la grandiosa e a buon termine già ridotta fabbrica di questo monastero suddetto che senza dubbio di ornamento e decoro a questa città » (39). La spesa complessiva dei lavori dal 1754 al 1788 ammontava a ben trentamila ducati (40).
Nel frattempo l'edificio, per la sua prestanza architettonica e la sua mole (41), è fatto segno a richieste di vario genere. Il 29 maggio 1784 l'Università di Manfredonia fa pubblica richiesta al rè di sopprimere i tre conventi dei Domenicani, Minori Conventuali e Celestini per adibirli ad uso di Pretura, Carceri, Scuole e Ospedale.
Le indagini conclusive prodotte il 10 gennaio 1789 da Raimondo Blank, Preside della Regia Udienza di Lucera, escludono tali proposte (42).
Nel 1798 i Celestini del Regno di Napoli vengono privati di quasi tutte le rendite; la fabbrica del Monastero non sarà più portata a termine.
Nel 1802 i monaci si oppongono all'idea di adibire, seppure per breve tempo, il loro edificio a caserma (43).
Il 29 giugno dello stesso anno, la Deputazione della città, in occasione della venuta in Manfredonia della Regina delle Due Sicilie, chiede all'abate don Vincenzo Primicerio di « disporre a far approntare in cotesto Real Monistero tutto il Bisognevole nel caso che la prefata Maestà Sua colla Real Famiglia a suo seguito voglia ristorarsi con un breve riposo » (44).

Tra il 1807 e il 1810 la Congregazione dei Celestini viene definitivamente soppressa. Con decreto di Gioacchino Murat n. 1737 del 28 aprile 1813, l'edificio viene concesso al Comune di Manfredonia per uso di casa Comunale e carcere correzionale (45). « La restaurazione borbonica con un'altro decreto del 6 novembre 1816 n. 533 confermava detta concessione » (46).
Con la costituzione del Regno d'Italia, il Comune, la Pretura, la Conciliazione ed il carcere trovarono sistemazione nell'attuale Palazzo Municipale (ex Convento dei Padri Domenicani) (47). Con avviso d'Asta del 3 aprile 1886, l'Amministrazione Provinciale di Capitanata invitava ad una gara di « appalto dei lavori da eseguirsi per ridurre a Caserma dei Reali Carabinieri una parte dell'ex Convento dei Celestini in Manfredonia, giusta il progetto redatto dall'Ufficio Tecnico Provinciale ed ammontante a Lire 10.700 » (48).

 
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