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Salvatore Cafano

Voci da Carlantino

Piccolo dizionario comparato dialetto carlantinese lingua italiana

Dizionario del dialetto di Carlantino.

PRESENTAZIONE

Che cos'è un dialetto? E' una piccola lingua, col suo lessico, la sua grammatica, la sua sintassi ed i suoi modi di dire, la sua pronuncia e la sua intonazione; ma la sua diffusione è limitata quanto la comunità dei suoi utenti.
Quello di Carlantino è il dialetto di un piccolo paese, con una storia documentata di quattro secoli, senza escludere un preesistente nucleo di abitanti del luogo, che non era ancora Carlantino.

Copertina Voci da Carlantino

Per il lettore di questo volume che non lo conosce, diremo che Carlantino è un piccolo paese in provincia di Foggia, da cui dista 65 km, e si stende sul dorso di una collina tra i 500 e i 600 mt di altitudine, tra i monti della Daunia, sul bordo nordoccidentale della provincia e della regione Puglia, dirimpetto al Molise, da cui lo separa il fiume Fortore.
Il paese fu fondato tra la fine del 1500 e l'inizio del 1600, con l'apporto di gruppi familiari provenienti soprattutto dai paesi limitrofi della Puglia, del Molise, del Sannio e della Campania i quali si aggiunsero al piccolo nucleo che si suppone già presente sul territorio.Pur formato da gruppi di varia provenienza, il paese acquisì la sua identità e la sua parlata. Rimane un po' misterioso come un piccolo paese, che nasce da flussi umani e familiari che hanno già una loro parlata, sviluppi questa sua identità, della quale il dialetto diventa l'abito espressivo. Forse è il bisogno di distinzione la maggior ragione della pluralità dei dialetti e la biblica storia della torre di Babele andrebbe reinterpretata.
Chi è nato e vive in un piccolo paese sa com'è facile cogliere le minime differenze e le semplici sfumature d'intonazione che distinguono il suo dialetto da quelli dei paesi vicini, con i quali si ha il maggior numero di contatti, e nei tempi antichi quasi esclusivi. Contatti ma anche contrasti, più o meno futili, e qui si riaffaccia, sia pure solo ipotetica, la tesi della distinzione come molla identitaria.
Ma i dialetti hanno indubbiamente un limite, che coincide con la loro modesta portata comunicativa. La loro comprensibilità diminuisce in misura proporzionale con l'allontanamento dal territorio di origine. Ogni ragazzine nato in un piccolo paese, il quale, per trasferimento familiare o per motivo di studio, si è recato in una città, ha provato direttamente il disagio derivante dall'inadeguatezza del suo dialetto per comunicare con i nuovi "concittadini" ed il suo impaccio linguistico è parso anche un limite all'espressione delle sue esperienze e dei suoi sentimenti.


Fratelli Cafano - da sinistra in alto: Antonio, Rocco, Salvatore, Carmine, Arcangelo

E tuttavia qualche teorico sostiene che il possesso sicuro di una lingua, sia pure un dialetto, è una buona base per apprenderne un'altra o altre. Ma, soprattutto, chi è cresciuto in un ambiente dialettofono è con le parole del dialetto nativo che ha imparato ad esprimere le sue prime esperienze di vita, le sue prime scoperte, è con quelle parole che ha fissato nella sua mente conoscenze ed emozioni originarie.

A scorrere questo sorprendente dizionario che Salvatore Cafano ha saputo raccogliere, con acume e con lunga e appassionata ricerca, dall'uso vivo e dalle testimonianze dei più anziani, vengono in mente tempi lontani ed anche luoghi della comunicazione sociale che oggi, se proprio non sono andati perduti, sono molto cambiati.
Immaginiamo le case del paese, d'inverno, quando la neve interrompeva i lavori dei campi e copriva le strade divenute silenziose. Allora nelle case, e in particolare nella cucina, intorno al camino, si riunivano familiari e amici, anziani e bambini, uomini e donne, e cominciavano i racconti, di fatti lontani, della famiglia e del paese.
Venivano narrate storie paurose, notturni interventi di streghe e "pantasime", storie di malocchi e di magiche guarigioni, fatti di guerre ed episodi di lavori in tempo di pace. Per istruzione dei più piccoli, venivano ripercorsi i rapporti di parentela, i matrimoni e le nascite, le malattie e le morti. Non mancavano pettegolezzi e maldicenze, imitazioni e caricature e racconti fatti tanto per passare il tempo.
Il livello dell'istruzione era basso ma vi era qualcuno che sapeva leggere e attingeva da qualche raro libro storie di paladini e di avventure varie. I grandi narravano e i piccoli ascoltavano attenti e le espressioni dialettali si fissavano nella mente e sembravano avere una loro particolare espressività, sottolineata dalla mimica e dai gesti, la cui efficacia sarebbe andata perduta se gli stessi fatti e gli stessi stati d'animo fossero stati espressi nella lingua colta. Anche nel tempo della bella stagione, quando si facevano i lavori in campagna e la fatica era condivisa, come i pasti ed il riposo, nei campi e nelle masserie si facevano racconti, macchiette, canti e sfottò.

Una piccola comunità, per certi modi di agire e di pensare, si comporta come una tribù (la parola non è usata in senso spregiativo ma con significato etnologico) ed il dialetto è il suo codice segreto, nel quale vengono tesaurizzati esperienze e ricordi, preoccupazioni e speranze comuni.

Il dialetto di Carlantino, come di tutti i paesi, piccoli e grandi, si è fissato in epoca di localismi chiusi e quell'epoca ormai è finita. I tentativi (che vengono anche da qualche partito politico) di rilanciare i localismi sono effetto e segno del loro irreversibile tramonto e possono anche essere indicatori di grettezza mentale. 'Ma anche in tempi in cui la mobilità delle persone e delle idee era molto più limitata e lenta che nel tempo presente, non mancavano scambi e nuovi apporti linguistici, che si sono depositati nel dialetto, come nella lingua maggiore della quale esso è una variante, facendone una miniera a molti strati, documento linguistico dei cambiamenti storici.
Vari popoli, nel corso dei secoli, hanno esercitato il loro dominio sul territorio, o semplicemente hanno fatto giungere la loro influenza. La matrice linguistica principale del carlantinese è la lingua della penultima capitale del territorio, Napoli. Del napoletano il nostro dialetto è una variante locale, più prossima per termini e pronuncia alle varianti dialettali del vicino Molise che ai dialetti della Puglia pianeggiante.
Ma non è difficile trovare nel nostro dialetto reperti linguistici più antichi ed eterogenei. Oltre a numerose parole di origine latina, ci sono parole di origine greca (per es.: 'a putéca), di origine araba (per es.: 'u taùt', 'u fùnach', 'a tariff), e poi tra medioevo e primi secoli dell'età moderna, nel Meridione si sono avvicendati longobardi, normanni, svevi, francesi, spagnoli, e di ognuno di questi passaggi si possono rintracciare lasciti linguistici. Perciò il Dizionario che l'autore ci presenta può anche essere un utile strumento di studio per la ricerca etimologica e la valutazione quantitativa dei vari apporti, nel corso del tempo, alla storia linguistica di Carlantìno e del suo territorio. Nei termini del vocabolario, inoltre, si trovano ben visibili i contenuti ed i caratteri della civiltà materiale del luogo: l'alimentazione, i lavori, i mestieri, gli attrezzi, gli animali domestici ed utili, la cui terminologia di riferimento prende a volte forma di metafora per esprimere i casi degli umani.
Non ci si può nascondere che l'esigenza di raccogliere in un volume le parole di un dialetto che non ha tradizione letteraria matura soprattutto quando viene avvertito che l'uso del dialetto è declinante, perché la lingua nazionale si è ormai diffusa in tutte le regioni, nelle medie e pìccole città ed anche nei piccoli paesi. Questa diffusione è sicuramente benefica, non tanto perché innalzi automaticamente il livello culturale - che va coltivato con impegno assiduo - quanto perché aumenta la possibilità della comunicazione dì tutti con tutti e consente di superare barriere e chiusure, incomprensioni ed esclusioni. L'uso sicuro della lingua nazionale è un'importante risorsa comunicativa e culturale, ma chi ha fatto il suo primo apprendistato espressivo nel dialetto non può non conservarlo, con un'affezione particolare, in un luogo della memoria e può darsi anche che rimanga lì inutilizzato, forse per anni, perché indubbiamente un dialetto trova la sua vitalità ed il suo uso appropriato nel suo contesto.
E' noto che l'unificazione linguistica degli Italiani è abbastanza recente. Resi i dovuti onori ai grandi autori della letteratura italiana, è stato già osservato che il fattore che ha impresso una formidabile accelerazione all'unificazione linguistica nazionale è stata la televisione, preceduta, ma con limitata efficacia, dalla radio e dal cinema. Di libri e giornali, invece, gli Italiani non sono grandi consumatori. Ma certamente anche la scolarizzazione di massa ha favorito l'appropriazione generalizzata della lingua nazionale. Dobbiamo ribadire che la diffusione capillare della lingua nazionale, associata all'incremento dell'istruzione generale, è un indubbio progresso del valore culturale della società ed è condizione per la partecipazione piena alla vita della società nazionale.
Ma va anche segnalato un possibile inconveniente nel passaggio dalla polifonia dei molti dialetti al primato se non al monopolio della lingua nazionale. Questo inconveniente si chiama "omologazione". La parola fu adoperata già molti anni fa dal celebre scrittore Pasolini, ch'era particolarmente attento nell'osservazione dei cambiamenti comportamentali e linguistici della società italiana. Oggi, la potenza comunicativa della televisione ha visibilmente rafforzato l'omologazione comportamentale ed espressiva degli Italiani ed in particolare dei giovani e quest'omologazione non è solo opportunità di comunicazione a tutto campo, senza barriere culturali, sociali e locali ma è anche rischio di uniformità e banalizzazione di modi di dire e dei corrispondenti modi di pensare.

Ma il miglior rimedio ai problemi di ordine culturale lo può dare la cultura. E la salvaguardia di un dialetto - che è il fine non secondario di questo dizionario - è una preziosa operazione culturale, che può contribuire a formare qualche anticorpo all'appiattente omologazione alla quale siamo tutti esposti. La nostra capacità di critica e di presa di distanza da conformismi e banalità può trovare anche nelle parole e nei modi di dire dialettali un'utile risorsa.
Come si legge un dizionario dialettale? Ci sono vari modi. Lo si legge con scopo pratico scientifico: per sapere come si chiama una certa cosa, come si dice una certa attività; per esplorare la terminologia di una determinata area tematica: un'attività lavorativa, attrezzi da lavoro, opere domestiche, cibo, abbigliamento, eventi naturali, funzioni del corpo, usanze, modi di dire; per curiosità, sfogliandolo a caso, senza una necessità pratica, come per una ricreazione mentale. Dunque, per diletto e per utilità, per conoscenza storica e memoria del passato o per ampliare la propria ricchezza espressiva, ogni lettore potrà sviluppare i suoi personali percorsi di lettura e rinnoverà così il suo rapporto col paese in cui vive o nel quale ha avuto la sua origine, togliendo dall'oblio una parte del passato.

Pasqualino Capozio

docente dì Storia e Filosofìa presso il Liceo G. Mameli di Roma

Garganonet  Piazza delle Rose, 3 71043 Manfredonia (Foggia) Italia  

 

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