La famiglia Tognoni
Foto e ricordi

La famiglia di Severino Tognoni         English VersionEnglish Version

Racconto di famiglia
Il seguendo delle fotografie sono tutte relative a Vittorio Tognoni, alla mia famiglia e i racconti che le accompagnano sono frutto della memoria.
Ho deciso di scrivere ciò che ricordo dei racconti di mio padre affinchè rimanga traccia per i miei figli e nipoti .... prima che la memoria mi abbandoni del tutto.
Per il visitatore che leggerà, preciso: che la mia attenzione, ai racconti del mio genitore era massima poiché lo ammiravo per il suo coraggio e il senso del dovere, inoltre ero giovane e memorizzavo molto e bene, visto che dopo quasi 50 anni riesco a trascrivere penso, con buona precisione.

 

Vittorio Tognoni

Mio padre Vittorio è nato a Milano nel 1917, figlio di un macchinista delle ferrovie, Italo Tognoni di San Polo d'Enza e di Guglielma Monti di Zocca.
Italo era alle seconde nozze, la prima moglie Antonia era morta giovane lasciandogli due fanciulle giovanissime.
Vittorio perde la mamma all'età di tre anni a causa dell'epidemia di "Spagnola".

Vittorio Tognoni radiotelegrafista dell'Aeronautica Militare Italiana

Rimasto solo viene affidato alle cure dell zie materne. Trascorre quattro anni accudito dalla zia Cleonice Monti a Samone di Modena.
Un particolare e sincero affetto legava papà alla zia, contadina dell'Appennino tosco-romagnolo, lavoratrice instancabile e alle volte rude educatrice. La zia, che abbiamo incontrato in più occasioni, ci raccontava delle biricchinate del nipote, e diceva: "....non stava mai fermo ...sempre alla ricerca di qualcosa da fare".
La zia non può più tenere il nipote con se e lo affida nuovamente al padre Italo, che è ancora alla ricerca di una moglie, la terza.
Quando racconto che mio nonno ebbe tre mogli tutti sorridono, pensando alla fortuna che aveva.
Le cose non stavano proprio così.
Perdere la moglie è sempre un dramma; a chi affidare i figli? La tipologia del lavoro che svolgeva non gli permetteva di aver tempo da dedicare ai figli, orfani per giunta.


Un macchinista di vaporiera con il suo fuochista erano un tutt'uno con la loro locomotiva, amavano il loro mezzo meccanico e non lo affidavano a nessun altro. Nei turni di servizio i macchinisti rimanevano in prossimità del loro mezzo in qualunque città sostassero. Dai racconti di papà, la casa che la famiglia occupava a Milano in via Francesco Ferrucci, aveva un binario morto sul quale sostava la locomotiva, proprio a due passi dall'abitazione.
Finalmente la terza giovane moglie di Italo, Ida Gradellini di Parma, prende in mano la situazione famigliare. Due ragazze e due maschietti (Vittorio aveva un fratellastro Federico Monti), sono nuovamente con una nuova mamma.

Italo Tognoni padre di Vittorio

Guglielma Monti madre di Vittorio
 

Vittorio giovane Avanguardista

La serenità dura poco e Federico viene mandato a Zocca, Vittorio invece, viene affidato a Maria Tognoni, sorella di Italo che aveva sposato un borghese milanese di nome Adone Roversi padre di Anton Spartaco Roversi famoso medico ginecologo e autore del manuale medico famoso per la sua autorevolezza, "Il Roversino".
Vittorio, non dura molto nella nuova famiglia, troppo distante il censo dei Roversi per accettare completamente e alla pari, il nuovo venuto.
Siamo nei primi anni del Fascismo e a Milano l'intelligenzia e borghesia della città cercano un posto nelle file dei nuovi padroni.
I Roversi non mancano all'appello e fanno parte della dirigenza del regime e ne condivideranno la sorte, solo Paolo Roversi giovane rampollo rompe la tradizione borghese, divenendo sindacalista, pittore, giornalista occasionale (free land) dell'Unità e libraio a Bologna.
Conservo un bel ricordo di Paolo, cugino e grande amico di mio padre Vittorio; persona semplice ed educata dai modi fini e gentili, che tanto piacevano a Palmira.

Zia Clenice Monti con Antonio Tognoni

Ingrandisci l'immagineVittorio, Palmira, Severino e Paolo Roversi a Milano

Vittorio, Palmira, Severino e Paolo Roversi a Milano

Dopo breve tempo papà viene portato al collegio "Marchiondi" di Milano famoso e conosciuto quale Istituto per ragazzi in devianza.
Vittorio ricorda il periodo del collegio come un periodo felice di formazione professionale, di forte socialità e cameratismo.

L'istituzione era organizzata dal regime come struttura paramilitare ed era un luogo di rieducazione e di indottrinamento alla "Mistica Fascista" dalla quale Vittorio trasse la sua formazione ideologica.
Papà era una persona preparata e alquanto colta: comparando il suo bagaglio culturale umanistico con quello di Palmira devo affermare che quello di quest'ultima era largamente più profondo e ricco.
Per semplificare il bagaglio culturale di Vittorio era principalmente tecnico, quello della mamma, profondamente umanistico.
Rileggendo le lettere che Vittorio scriveva da prigioniero negli USA, a parte il contenuto piuttosto ripetitivo, rilevo che sono grammaticalmente corrette con espressioni appropriate e ben espresse per ogni argomento, tutte prive di errori sintattici.
Al Marchiondi fece delle esperienze tecniche delle più svariate che gli furono molto utili da militare e in prigionia.

Vittorio in vacanza

Il suo percorso paramilitare lo vide partecipe dei campeggi DUX, apoteosi della Gioventù fascista e come Avanguardista, percorsi di cui papà è sempre andato fiero.
Vittorio era di indole obbediente e fu sempre rispettoso della gerarchia ma non esitava allo stesso tempo, a essere intraprendente e autonomo nelle decisioni operative.
Come Palmira fu onesto e ricco di valori umani che poco si addicevano allo spirito guerresco richiesto dal Regime. Ammirava il comportamento impietoso dei tedeschi in guerra, non si rendeva conto che il suo onore e la sua umanità non gli avrebbero mai permesso di emulare i comportamenti aberranti che contraddistinsero in gran parte, l'esercito germanico durante il secondo conflitto mondiale.
Nel 1937 si arruola volontario nell'Arma Aeronautica e dopo il primo periodo di addestramento da recluta, segue i corsi di radiotelegrafista a Capodichino diventando uno "Specialista" nel ruolo naviganti.


Inizia la parte avventurosa della sua vita di aviatore.
Volerà su molti tipi di aeroplani da trasporto e ricognizione; menzionava gli aerei che aveva amato maggiormante: l'idrovolante Cant Z 501, Savoia Marchetti SM81 e quello che lo vedrà per più ore a bordo, il Savoia Marchetti SM 79 con il quale opererà in Nord Africa durante la guerra.
Nei mesi precedenti lo scoppio delle ostilità della Seconda guerra mondiale, conosce Palmira al corso di ausiliarie raditelegrafiste nel quale era istruttore.

Vittorio calciatore al collegio Marchiondi

Vittorio era sempre ordinato nell'uniforme e attento alla cura della persona, uno dei valori a cui teneva era quello della pulizia e dell'ordine personale, cosa che mi ha trasmesso e di cui ne vado orgoglioso.
La mamma era lusingata del suo corteggiamento e ricordava sempre le sue qualità: la correttezza del linguaggio e i modi da gentiluomo che sfoggiava, qualità riconosciuta da tutti, amici e colleghi.
A parte l'affinità ideologica con Palmira, ciò che sedusse la mamma fù la capacità di intrattenimento e dello spirito di gruppo che aveva innato.
Conobbe sempre i limiti comportamentali e di educazione da tenere con tutti, con Palmira sopratutto, che non gli avrebbe mai perdonato il minimo sgarbo.
L'inizio della guerra lo vede operatore radio nella importante stazione metereologica di Ustica, al servizio delle operazioni

aeronavali del mediterraneo nord occidentale.
In quell'isola poco o nulla succedeva, gli avvenimenti bellici erano lontani.
Il 27 Settembre 1941 fu testimone di un incidente aereo: la caduta al suolo e in mare di una squadriglia di Macchi 200, che al ritorno da una missione, precipitarono uno dietro l'altro senza carburante. Una foto lo ritrae sull'aereo del Cap. Franco Lucchini, distutto al suolo. Il Capitano Lucchini si salvò dall'incidente ma perirà nel 1943 in un altro teatro d'operazione.
Ebbe, sempre a Ustica, occasione di conoscere alcuni esiliati dal Fascismo sull'isola e ci sono alcune fotografie che lo ritraggono in loro compagnia.
Proprio su questo argomento papà ricordava qualcosa che gli fa ancora onore. Sull'isola era obbligatorio per i militari dare del "tu" alle persone assegnate al confino, papà non ebbe mai il coraggio di farlo e diceva: "... conosco operai, professori, sindacalisti e altri, con una grande attenzione al bene comune, cultura e senso dello Stato; come faccio a non rispettare e dare del tu a queste persone".

Chiamato per operazioni belliche, riprese a operare sugli SM 81 e 79 per il trasporto di materiali e bersaglieri da Palermo Boccadifalco, Sciacca e Catania, verso l'Africa.
Questi viaggi sul Mediterraneo furono avventurosi e non mancarono le occasioni in cui la fortuna giocava un ruolo importantissimo: aerei con un solo pilota e Vittorio come mitragliere.

Vittorio con colleghi della Marina Militare

Vittorio Tognoni

Per Vittorio arriva il momento di partire per ignota destinazione (Tunisia) dove riceverà il comando di una stazione radio mobile: due carri, uno radio e l'altro riparazioni e viveri, con cinque uomini di equipaggio tra cui due radiotelegrafisti.
L'avventura vera era iniziata, adesso rischiava veramente la vita.
Aveva subito mitragliamenti aerei e bombardamenti dai quali ne era uscito indenne.
Aveva l'incarico di seguire un battaglione italo-tedesco e il suo compito era di smistare le direttive provenienti da Palermo e che dovevano essere ritrasmesse al comando e ai vari reparti operativi nei differenti segmenti di fronte.
La requisizione delle case dove mettere i carri al coperto e mimetizzati, era per lui un divertimento, sceglieva sempre villette in altura per le antenne, e alberate, "per proteggersi dal sole" diceva.
In una occasione si divertì a vendere la casa di proprietà di un colono francese a un tunisino per poche "lire" in moneta locale d'occupazione, senza praticamente valore di scambio, così per gioco.
Aveva conosciuto una ballerina francese e i suoi viaggetti a Tunisi città, erano abbastanza ricorrenti.

Vittorio raccontava che gli italiani, militari suoi colleghi, non volevano recarsi nella capitale per paura, poiché alcuni di loro erano stati pugnalati sul trenino,durante il tragitto, dalla base al centro abitato.
Non era permesso condurre le armi con sè durante queste "libere uscite", era permessa solo la baionetta al fianco. Contravvevendo alle direttive, portava in tasca, anche due bombe a mano, "per ogni evenienza", diceva.
Quando noi ragazzi ascoltavamo il suo racconto chiedevamo: "ma tu non avevi paura"; rispondeva di si, ma diceva, che i suoi nemici partigiani, avevano forse più paura di lui!
Ci aveva spiegato con dettagli particolareggiati, anche, il posizionamento che cercava nel vagone, con le spalle contro una parete ad angolo senza finestrini e con sotto gli occhi tutto il corridoio e i sedili di legno, davanti a se.
La fine dell'avventura del Nord Africa stava per giungere e il tragico epilogo della prigionia che si profilava all'orizzonte e prendeva forma.

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Vittorio e colleghi prigionieri di guerra in USA.

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Vittorio con al suo fianco l'amica Chawa per la quale ha conservato un affettuso ricordo.

Dai racconti sempre pieni d'enfasi e di amor patrio, si evince che in quel momento era impensabile una sconfitta, comunque i soldati erano demoralizzati e tutti, ufficiali, sottufficiali e truppa davano ormai per certa la disfatta.
A provare questo, un fatto: in una sosta notturna aveva scoperto un tunisino ad aggirarsi fra l'acquartieramento notturno di staffette motociclisti e i carri radio.
Fermato l'intruso, viene condotto da Vittorio stesso, al primo comando italiano, molto vicino alla stazione radio.
Presentato al comandante come probabile spia non venne neanche interrogato, e fu ordinato di rimetterlo in libertà.
Quì straspariva nella voce e nelle parole di mio padre, la delusione e dell'inutilità di ciò che stava facendo e della guerra in generale.
La resa.
Come sempre faceva, al tramonto sceglieva un posto protetto dove sostare, sempre nell'area di comando del battaglione.
Come luogo, scelse un avvallamento del terreno, fuori dalla strada al disotto di alcuni metri dal suo livello.
Alle prime luci dell'alba del giorno successivo, odono il sopraggiungere di un mezzo motorizzato isolato: incredibile, transitava un autoblindo inglese con un militare in torretta che guardò dall'alto il gruppo e senza nessuna reazione ne rallentare proseguì.
Vittorio e i compagni si guardarono stupefatti: avanzare non potevano, c'era l'autoblindo; indietreggiare non si poteva c'erano sicuramente gli inglesi.
Si misero alla radio e Vittorio stesso trasmise un rapporto su quello che stava succedendo. In breve tempo ricevette la risposta dal comando di Palermo: arrendersi!
A questo punto ricordo bene la domanda che noi ragazzi ponemmo: ".... e se t'avessero chiesto di combattere l'avresti fatto?", "Certamente!" rispose.

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Squadra di calcio italiana dei prigionieri di guerra negli USA

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Conoscendo mio padre penso, che la risposta era sincera e l'avrebbe fatto. Teneva troppo al suo onore.
Probabilmente, pensarono tutti: "finalmente"!
Confermo che Vittorio non era un guerriero, amava la vita, ma mai avrebbe tradito il suo paese o i compagni, costi quel che costi.

Gli ordini che accompagnavano la resa erano: Distruggere tutti i registri delle comunicazioni, le macchine per scrivere (avevano alcuni caratteri speciali), distruggere la riserva viveri.
Dovevano essere lasciati nello stato in cui erano: gli automezzi, le armi e le apparecchiature tecniche.
Bene a questo punto Vittorio si pose la domanda sul perchè si dovessero lasciare utilizzabili i mezzi e consegnarli al nemico.
Questo fatto non seppe mai spiegarlo, ma quello che fece è obbedire.
Il tutto avvenne in breve tempo e un particolare significativo che ricordava con una certa enfasi: quando buttarono nel fosso la forma di formaggio parmigiano, questa si spezzò in una miriade di pezzi che raccolsero e misero nei tascapane che si erano preparati.
Attesero per un pò, quando dall'alto spuntarono due inglesi armati che perentoriamente invitarono il gruppo a salire sulla strada.
La prigionia era iniziata.

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Ancora Vittorio a Fort Mead - 1944

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Calcio negli USA. Prigonieri insieme sul campo di calcio.

A piedi assieme ad altri soldati, come loro prigionieri, giunsero in un punto di raccolta.
Dopo la perquisizione vi rimasero un giorno e due notti.
All'alba del secondo giorno gli inglesi iniziarono a far salire sugli automezzi i prigionieri separando gli ufficiali dalla truppa.
Con prontezza di spirito si diresse verso gli automezzi predisposti per gli ufficiali (solo per loro il trasporto era meccanizzato gli altri a piedi) e vi salì a bordo, sedendosi. Si guardò attorno e incrociò lo sguardo degli astanti, vergognandosi del posto non suo (fra gli ufficiali), fece per alzarsi quando un capitano che gli sedeva accanto lo trattenne per il braccio e gli ordinò di sedersi.
Il fatto si sarebbe dimostrato significativo poichè gli ufficiali erano diretti verso una destinazione diversa da quella della truppa, (dopo la guerra venne a sapere che i suoi compagni erano stati portati in Egitto e Kenia).
Durante il trasferimento a una delle fermate lungo la strada, un soldato australiano o sud africano dal tipico cappello a falda rialzata, pretese il casco coloniale, con il fregio dell'aeronautica.
Il viaggio, ebbe fine a una stazione ferroviaria in territorio algerino.
Scesi dai mezzi furono avviati in fila verso alcuni militari che seduti a una scrivania annotavano i dati dei prigionieri.
Le notizie richieste erano: nome e cognome, data di nascita, arma di appartenenza, grado e specialità. Non ci furono ulteriori separazioni.
Tutti salirono su carri merci sorvegliati da coloniali francesi oltre che da soldati francesi metropolitani (?) (papà parlava di truppe di colore e francesi, in generale).
La sofferenza della sete sui vagoni chiusi e lasciati al sole africano era indicibile, ecco che i pezzi di formaggio raccolti durante la distruzione dei viveri, vennero utili: furono scambiati con una borraccia d'acqua.
Questo è il momento più brutto, nella sofferenza della sete e della fame con la cattiveria delle sentinelle che non esitavano a colpire i prigionieri con il calcio dei fucili.
In cambio di acqua, dette pure tutti i bottoni dorati della divisa.
Il treno giunse a una stazione dove l'attendeva un altro treno con personale americano; i vagoni furono agganciati alla coda del treno che partì verso Casablanca.
Da quel momento tutto cambiò: finalmente cibo e acqua.
Una breve sosta e tutti i prigionieri furono imbarcati su una nave della classe "Liberty". In stiva compirono tutta la traversata con una sola sosta in altomare per un allarme sommergibile. Cancellate aperte e guardie armate di fronte, fino al cessato pericolo.
Lo sbarco avviene nel porto di New York e da lì trasferiti in Arizona.
La cattività negli USA si divide in due spazi temporali: prima e dopo il settembre del 1943.
Per poco più di un anno fu realmente un prigioniero di guerra con la tuta e le lettere sulla schiena PW (Prisonner of War)
Questo primo periodo fu contrassegnato da una ostilità contenuta da parte degli americani, (del resto eravamo nemici in guerra). Il luogo era desertico con estese di terra arida tutt'intorno; abitavano in baracche di legno con brandine a terra e Vittorio ricorda che per proteggersi dagli scorpioni che potevano arrampicarsi sul letto, mettevano i piedi delle brandine in larghi barattoli con dell'acqua.
Raccoglieva cotone con altri lavoratori stagionali.
Nel campo c'erano anche prigionieri tedeschi con lo stesso statuto di reclusione di guerra. Vittorio ammirava la disciplina e le regole che gli stessi germanici si imponevano. Racconta, che li vedeva marciare sempre a ranghi e cantare lungo la via; gli americani tolleravano questo modo di comportarsi e mostravano una benevolenza che era fin troppo evidente, anche se alcune volte i loro ufficiali furono puniti per aver ordinato alla truppa di schierarsi davanti alle baracche in occasione di qualche festività nazista.
Non uscirono mai in semilibertà e rimasero nel campo fino alla fine della guerra nel 1945.
Il secondo e più fecondo periodo, fu quello della collaborazione con le truppe alleate dopo il 1943.
Alla richiesta degli americani di schierarsi al loro fianco, fu accettata ben volentieri e i vantaggi furono subito evidenti.
Veniva cambiato lo statuto da prigioniero a cobeligerante e entrava nelle forze italiane ISU (Italian Service Unit)
Fece l'autista di mezzi militari. Potè riparare una vecchia radio e ascoltarla.
Quando lasciò il campo un prigioniero tedesco gliela chiese e lui accettò di lasciarla, era sua intenzione di regalarla, ma i militari americani imposero ai germanici l'acquisto e dato che non potevano avere denaro si offrirono di scambiarla con un anello.
Questo anello a tuttoggi, lo porta al dito mio fratello Renato Tognoni.

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Vittorio e colleghi al pranzo di addio dopo il corso nel centro interforze della "Scuola Telecomunicazioni delle forze armate" a Chiavari - 1958

Vittorio con i gradi Maresciallo di 2a Classe

Buon giocatore di calcio si fece onore nella squadra italiana.
Alla partenza dagli USA nel 1946 aveva in tasca del denaro (400 $) che al rientro servirono per sposarsi e metter su famiglia.
Partì da Los angeles sulla costa del Pacifico, transitò dal canale di Panama e fece ritorno in patria.
Riprese il servizio nell'Aeronautica Militare come radiotelegrafista a Boccadifalco.

Ultima sede di servizio fu Padova, in forza al 17° Rearto IT, nella operatività del sistema S.A.M. "Nike", non più come marconista ma come tecnico manutentore di ponti radio dopo aver frequentato il corso di Chiavari nel 1958, .

Vittorio ci ha lasciato nel 1998.
Il mio genitore tornò in Italia e onorò la promessa fatta a Palmira di sposarla.
Mai udimmo parole di biasimo per il suo Paese che onorò in ogni circostanza compiendo sempre il proprio dovere di militare e di padre.
Ciò a onore della memoria di mio padre!

Severino Tognoni

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